Torma, sculture di burro tibetane
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Torma, le sculture di burro di yak tibetano

In Tibet il burro non è solo un alimento fondamentale, ma anche un elemento con cui creare sculture spettacolari e coloratissime legate alla spiritualità buddista.

Il burro è un alimento molto antico, utilizzato in molte zone del mondo. In Tibet, ad esempio, il burro rappresenta un elemento portante della dieta quotidiana. In una zona montuosa molto fredda come “il Tetto del Mondo” il burro è un grasso molto funzionale. Nutriente e facile da conservare, il burro è un ottimo alleato durante gli inverni più freddi, e non solo. In Tibet si produce tradizionalmente burro di yak, ovvero burro ricavato dal latte del caratteristico bovino tibetano. Il burro di yak viene utilizzato per preparare il tradizionale tè himalayano, bevanda tradizionale ottenuta da una mistura di tè, burro, acqua e sale. Gli usi che si fanno di questo grasso, però, non sono solo alimentari. Uno dei più particolari e caratteristici ha a che fare con l’arte.

 

Le sculture di burro di yak, o “torma”

I tibetani usano il burro di yak per creare delle coloratissime sculture. Questa forma d’arte prende il nome di torma. Solitamente queste sculture vengono realizzate dai monaci tibetani utilizzando una mistura di burro di yak e di tsampa, ovvero di farina d’orzo tostata. A queste vengono aggiunti dei coloranti naturali dalle tinte molto vivaci e in alcuni casi della cera. In media queste statue hanno una vita di quattro mesi, al termine dei quali vengono sciolte e date in pasto agli animali, solitamente ai cane. In genere queste sculture rappresentano figure iconiche della tradizione e della spiritualità tibetana. Solitamente si tratta di fiori, di animali, del sole e degli altri astri, oppure di ritratti di santi buddisti o di funzionari civili e militari. In alcuni casi queste sculture possono essere anche rappresentazioni di storie popolari e di opere teatrali tradizionali. Il Tibet vanta un’antichissima tradizione teatrale, sempre di stampo buddista, ricca di racconti di formazione e di creature fantastiche.

 

Simboli alla radice della spiritualità buddista

Una volta realizzate, generalmente queste statue coloratissime statue vengono poste sugli altari in segno d’offerta. Nei monasteri di Sera, di Gyantse, Samye, Reting e Drepungo, o nei luoghi di devozione come Potala e Jokhang si può assistere a grandi cerimonie legate ai torma. Intere famiglie si recano in pellegrinaggio per portare le statuine, lasciare offerte, pregare e leggere i testi sacri.

Per un osservatore occidentale la cosa potrebbe risultare indubbiamente curiosa. Gli occidentali concepiscono, infatti, la scultura come l’arte destinata a durare nei secoli per antonomasia. Alla scultura associano la statuaria, la durezza e la bianchezza del marmo, opere millenarie come quelle scolpite da Fidia o da Policleto. In Tibet, invece, la scultura del burro ci rimanda ad alcuni concetti chiave della spiritualità buddhista come l’”impermanenza” e il “non attaccamento”. Non accaso il termine tibetano torma deriva dalla radice gtor-ba, che significa “disperdere, gettare o separe” e viene legato al gesto dell’offerta votiva.

Esattamente come avviene nel caso dei coloratissimi mandala di sabbia tibetani, produrre queste sculture è un atto di meditazione e di elevazione spirituale. I monaci lavorano con abilità e grandissima concentrazione su un’opera molto complessa, ma effimera, destinata ad essere completamente distrutta nel giro di poco tempo. Secondo la spiritualità buddista, infatti, le statue di burro ci offrirebbero un grande insegnamento sulla natura effimera della nostra condizione.

 

Photo Credits:
Anders Lanzen per flickr

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